M. P. Michieletto
Intervista_I piani sghembi della scultura di Salvatore Giunta
2006
M.P.Michieletto. In questi giorni è stata inaugurata al Museo delle Generazioni del ‘900 di Pieve di Cento la tua ultima mostra dal titolo “Lo spazio della scultura”. Quali sono le ragioni del titolo e della relazione tra, appunto, lo spazio e la tua scultura?
Salvatore Giunta. La mia ricerca artistica ha come soggetto lo spazio in relazione con ciò che possiamo definire per convenzione, “scultura” (oggetto tridimensionale) con l’obiettivo di modificare il concetto plastico-ambientale degli spazi umani per una migliore qualità del vivere. Da qui nasce la presentazione al catalogo di Guglielmo Gigliotti per la mia mostra dal titolo “Lo spazio della scultura” nella quale Gigliotti prende in considerazione lo spazio fisico e lo spazio mentale ripercorrendo le posizioni dei movimenti artistici nonché le mie scelte.
M.P.M. L’ispirazione delle tue spazio-sculture sono un processo solo mentale astratto o sono ispirate dall’osservazione di qualcosa in particolare?
Salvatore Giunta. L’attività artistica non può prescindere dall’attenzione all’uomo dalla sua componente esistenziale, come non può essere indifferente a quanto ci circonda in natura. Si innesca, così, un processo mentale creativo che si integra e interferisce con la nostra vita. L’opera è riflessione, ricerca; nel mio caso, le “invenzioni strutturali” sono in relazione allo spazio con il quale “giuoco” ricercando soluzioni molteplici.
M.P.M. La pulizia delle linee delle tue creazioni fanno pensare ad un momento condiviso da tutta l’avanguardia europea e non dei primi del Novecento. In che cosa, invece, si differenzia la tua ricerca contemporanea?
Salvatore Giunta. Le radici culturali sono da individuare nei movimenti artistici dei primi del Novecento, nel loro significato, nel voler scardinare schemi prefissati, proponendo possibilità infinite all’esprimersi, nel comunicare il pensiero, nell’incidere sui comportamenti. La ricerca che conduco si basa su segni essenziali collocati o proiettati nello spazio suggerendo quasi una virtualità plastica in cui la destrutturazione non è un concetto assente.
M.P.M. Queste opere sono tutte al limite della caduta, bloccate nella creazione un attimo prima che l’equilibrio si rompa: credi di non aver raggiunto la comunicazione delle tue intenzioni se l’osservatore fosse tentato di immaginare cosa accadrebbe se l’equilibrio si rompesse?
Salvatore Giunta. L’osservatore deve interagire con la asimmetria, la precarietà, lo smantellamento del baricentro, in poche parole, con una scultura liberata dal concetto di massa-volume. Proprio in questi giorni ho iniziato ad affrontare il progetto per una installazione in cui gli elementi percettivi coinvolgeranno emotivamente l’osservatore. Una sinfonia di segni minimali galleggianti con la volontà di fluidificare lo spazio.
M.P.M. Le hai titolate “Bilico”, “Euritmia”, “Equilibrio provvisorio”, “Oscillando”, “Slittamento” tanto che potrebbero riferirsi soltanto a delle dinamiche prettamente meccaniche di oggetti inanimati come lo sono le macchine: allora dove è presente l’uomo, se lo è, nelle tue opere?
Salvatore Giunta. Non credo che vi possa essere arte se non quella rivolta all’uomo. Riprova ne è il recente Festival della Filosofia tenutosi a Roma che ha affrontato il tema della instabilità. Si è discusso sulla responsabilità delle scelte dei vari saperi in un mondo sempre più segnato, appunto, dall’instabilità e dall’incertezza. Quindi, i miei piani sghembi, il mettere in giuoco i concetti di peso e di equilibrio mi sembra non prescindano dall’uomo né dalla sua condizione esistenziale.
M.P.M. L’osservazione delle tue sculture, ispira una tensione emozionale dovuta soprattutto all’equilibrio instabilmente perpetuo: in relazione a questa sensazione è possibile accostare una tua spazio-scultura ad una scultura del passato che richiami quella stessa impressione?
Salvatore Giunta. In prima battuta mi vene da rispondere che i riferimenti li trovo nei molti ambiti della Natura, nelle architetture del mondo vegetale e di quello animale; se vogliamo riferirci al segno dell’uomo a come un artista si sia confrontato con lo spazio, allora mi vengono in mente le soluzioni di alcuni Maestri di fine XII secolo, gli acquarelli cinesi, la Pietà di Niccolò dell’Arca, la Parabola dei ciechi di Brueghel il gruppo del Laocoonte, la porta di San Zeno a Verona, l’Apollo e Dafne del Bernini, la soluzione borrominiana della cupola di Sant’Ivo alla Sapienza. Tutte soluzioni che presentano tensioni, un segno in fuga, in sospensione; opere che posseggono quell’astrazione dal reale in cui, segno e spazio si intrecciano rendendo impossibile identificare chi sia il soggetto principale: il segno o lo spazio?
in ArtnewsInterviews, 26.03.2016