SALVATORE GIUNTA ARTE

Maria Lenti

L’arte non quieta di Salvatore Giunta

 

2014

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Salvatore Giunta mi “mostra” il suo curriculum e il suo lungo lavoro: gli studi, i maestri, gli inizi, le incisioni, i piani sghembi, i materiali più vari (carta, cartone, colori, creta, ferro, ottone verniciato, bronzo, lamiera, alluminio), i bassorilievi e altorilievi in cartone, la sfera come elemento ruotante-perfetto l’equilibrio o improbabile?-, il rullo sui fogli, i diversi esiti artistici (pittura, scultura, installazioni).

Guardo le sue mani, sottili e forti, tese, inquiete, nervosamente mobili. Un tramite tra sé e il già fatto, il già esposto in tante mostre, tra se e me, interlocutrice. Le dita si intrecciano per poi districarsi nello spazio a lui davanti, quasi a lasciarvi la sua opera appena descritta. Mimano la preparazione, l’esecuzione, la messa in “tiro” della relazione compositiva: la piega, la ricerca, la curva, l’incavo della sovrapposizione di fogli, il pennello che colora, il taglio dei bordi. Sviluppano, in una figuratività che da loro scivola e facilmente viene riconfigurata, l’incontro tra sé e la materia lavorata o da lavorare.

La sua creazione è lì, uscita, inconsapevole e cosciente, da pensieri e gesti lievi. I quali ripartiranno, senza porre tempo in mezzo, in un sinuoso, differente, cammino, che sarà fermato in un “arrivo”, anch’esso, però, punto di partenza per altro scavo, per altre soluzioni mai sciolte in una fissità reiterante se stessa. Calata, invece, in nuove forme di invenzione.

La caratteristica, direi il precipuo stilema di Salvatore Giunta, è un procedere per eliminazione arrivando all’essenziale della figura (geometrica), alla sua sospensione nello spazio, alla rotazione in esso di “cose” indistinte, all’affidamento ad un bianco, diffuso in tutta la sua produzione, solcato da segni e oggetti.

E dal colore, che connota e affina il lavoro dei mesi più recenti: cartoni lisci in acrilico, su cui, pur non mancando i colori forti (nero, rosso, più striati che uniformemente distribuiti) si distendono - direi si tendono – colori in prevalenza di un azzurro digradante verso il tenue, o intensificato, variamente, sul pieno.

Un cielo, ecco, un cielo-atmosfera, un mare-aria, colti e differenziati in gradazione sulla linea dell’orizzonte. Sfumati nei bianchi dell’alba, sono, talora a piani inclinati e, sempre, interrotti da diritte linee nere, rosse, antracite.

Un respiro si trae dalle limpide lontananze in cui i quadri (diverse le misure: 40, 50, 60, 80, ecc., centimetri di lato, ma espansi all’infinito) immettono. Una sensazione immediata di chiarità possibile. E, dunque, un probabile “ricaparsi” o ritrovare il filo rispetto a caos e confusione ed oscurità di tempi storici, di cronache terribilmente chiassose nella loro vacuità, e di stagioni di vita anche individuali, pensosamente trascorrenti.

Sensazioni e respiro liberatorio si “scompongono”, tuttavia quasi subito nel loro contrario, cioè in un brivido di tremore. Per via di quei segni inclinati e ogni volta rideclinati non paralleli: in caduta verso il basso o in salita verso l’alto, “rompono” la superficie, la “bucano”, bucando in conseguenza una serenità soggettiva inizialmente entrata dentro a tacitare ansie e sommovimenti.

Liberazione e apprensione insieme. Il mio pensiero e l’attimo della corporeità in flessione su un esterno, vengono catturati e subito allentati. E’ il momento del perdermi (fuor di ricordi e di riferimenti intromissivi e disturbanti, limpido lo sguardo) e del ritrovarmi (viva di domande) nell’arte di Salvatore Giunta. Ciò che avevo sentito come possibile calma viene fibrillato da quei segni in cui il provvisorio, più sottilmente intrigante della prosaica, odierna, abusata, precarietà, è sinonimo di bilico, di quello stare in bilico (e vi “ritrovo”, traccia memoriale, la sfera di altre opere) su un crinale, su un muretto, su una superficie in continua fluttuazione esistenziale: flussi, riflussi, cadute, riprese, aperture e chiusure.

In emersione, le domande. L’arte, oggi, favorisce la serenità o solleva-sollecita interrogativi? Tranquillizza le stabilità raggiunte o le smuove? Può narrare o può inquietare, suscitare conflitti?.

Scorgo o ravviso negli ultimi acrilici di Salvatore Giunta l’ansia di una attesa mai colmata, di una presenza che non si determina, di una illusione cui manca il suo appiglio, forse di una utopia che - più che luogo di scioglimento della realtà per un altrove pensabile – è non – luogo.

Eppure io vi vedo, inoltre, all’opposto e per fortuna, la rottura di un equilibrio tutto apparente, di quell’equilibrio precipitato attorno a noi dalle consistenze della modernità, dalla inerte, immobile vita esteriore, “dal cielo” trovato (e ri-spolverato da chi ne ha i panni, chiunque sia) o da una tranquillità interiore acquisita a difesa e a risarcimento di irrequietezze. Quell’apparenza, anzi questa apparenza, viene spezzata da segni che “avvertono” la falsa illusione e “avvertono” l’instabilità e la “rottura” di un’aria da coordinate spazio-temporali. “Avvertono” l’esistenza di una necessità (di movimento? Di cambiamento? di….?), a scanso di una finis terrae, di una immersione di un’attrattiva-astrazione da non ritorno. Per l’allontanamento agiscono, a mio parere, i segmenti calati sulla superficie irenica e la striscia delle bordature.

Nelle opere recenti dell’artista romano, infatti, la cornice di nero o di grigio o di bianco che le contorna, appare essere un segno di controfacciata volto a spezzare la superficie dell’illimite luce azzurrina. Esso marca il limite di un “campo”, allora, come entrata in un altro campo accostabile ai segmenti colorati, illimitato ma per un verso altro, il cui nome o senso, la cui espansione saranno da cercare.

Il limite alita, così, il soffio di un ulteriore domanda postata – nella libertà creativa - dall’artista Salvatore Giunta nell’incontro con l’altro, con chi “cammina” dentro la sua opera, magari sentendone la proposta e, in fondo, la sfida tra un o stare e un andare, tra un già raggiunto e un raggiungibile stato, essendo il cammino – dell’arte, della sua arte, del fruitore dell’arte – tutto in movimento. Per fortuna. O per grazia di chi cerca strade diverse dalle sicurezze indotte e aleatorie.

                                                                                                      

in Fermenti n.241, 2014