Tavola Rotonda presso Editrice Empiria
Anna Cochetti_Bruna Condoleo_Francesco Muzzioli _Francesca Tuscano
2020
L’Editrice Empiria, nella programmazione degli incontri culturali del 2020, ha inserito un appuntamento dedicato alla mostra di Salvatore Giunta “ La dialettica dell’ombra”. Inaugurata nel settembre del 2019 a Pisa presso lo Spazio Gennai, con la curatela di Bruna Condoleo, l’esposizione viene riproposta negli ambienti della libreria insieme al video d’arte “Tagli d’ombra” delle stesso autore.
Per l’occasione si è inoltre pensato di organizzare una tavola rotonda sul tema dell’ombra, documentata con questa brochure. Al dibattito sul tema proposto in apertura del nuovo allestimento sono stati invitati, oltre alla curatrice, il critico letterario Francesco Muzzioli e le storiche dell’arte Anna Cochetti e Francesca Tuscano.
Unitamente agli interventi, si riporta anche il testo di Bruna Condoleo “La dialettica dell’ombra”.
Un ringraziamento particolare va ai relatori e ai partecipanti per il vivo apporto al dibattito.
Bruna Condoleo
Fin dall’inizio del percorso artistico Salvatore Giunta ha mostrato particolare interesse per le ombre, per quella tecnica pittorica che indaga un aspetto della contingenza che l’occhio percepisce e che il pensiero è capace di rielaborare. Le ombre sono una realtà in continuo divenire che svela e al contempo nasconde, lasciando vagare la mente nei meandri della memoria attraverso infinite suggestioni di inedite realtà. Utilizzando materiali diversi, come cartone, tele, banner e valorizzando le loro qualità tattili e luministiche, Giunta traccia le linee del suo universo geometrico che, grazie alle ombre, si libera dell’immobilità acquisendo dinamismi che amplificano lo spazio e suggeriscono forme “altre”, ammantate spesso da significati allusivi o pervase da affascinanti ambiguità percettive.
Nel sorprendente video “Tagli d’ombra” 2016, presente in mostra assieme alle 10 opere realizzate nel 2019 con tecniche miste e acrilici, l’Artista riesce a restituire l’interazione dinamica, a volte stupefacente, di luce e ombra che sovrapponendosi e modellandosi reciprocamente, aprono squarci di imprevedibili prospettive, illudono e attraggono offrendo stimoli cognitivi ed emotivi sempre rinnovabili. Le ombre, come sanno bene i creatori delle ombre cinesi, evocano a tal punto la realtà da divenire loro stesse materia modellabile, capace di assumere un’autonomia espressiva. L’ombra che Giunta dipinge con la consueta raffinatezza pittorica non è quella plastica di Masaccio, né la tenebrosa di Tintoretto o la drammatica di Caravaggio, ma somiglia concettualmente all’evanescenza dello sfumato leonardesco, poiché traduce sensazioni impalpabili e visioni d’infinito. Il motivo su cui da sempre egli ha elaborato la propria estetica è il rapporto forma-spazio-luce, nel cui ambito il significato dell’ombra si rivela importante, non soltanto come elemento dinamizzante, ma anche come sottile metafora del divenire della natura e delle percezioni visive. Grazie all’azione delle ombre l’attenta orchestrazione di forme e di eleganti grafie, tipica del suo linguaggio, s’impregna di controllata emotività; nell’arte di Giunta l’ombra riesce a scompaginare la mera realtà fisica, facendo emergere consistenze ingannevoli: essa è una presenza-assenza che permette alla forma di liberare l’implicita sostanza immaginifica.
Alla base dell’universo creativo del Pittore, sempre permane un’operazione intellettuale che intende captare il senso più pregnante dell’oggettività, organizzata in ritmi formali che tuttavia non escludano il ricorso all’analogia e al simbolo. Pertanto l’ombra, con il portato di mistero e di alterità che l’accompagna, gioca un ruolo significativo nel mondo di Giunta, provocando risonanze interiori, facendosi evocatrice di stati d’animo fuggevoli e generatrice di tensione spirituale.
Se è indubbio che l’utilizzo della tecnica delle ombre sia una consapevole conquista della storia moderna, sviluppatasi nell’arte contemporanea a livello strutturale, è pur vero che la civiltà romana ne ha precocemente intuito il valore e la funzione. Illuminante a tale proposito l’opinione espressa da Plinio il Giovane nelle “Lettere ai famigliari” (fine del I° secolo d.C.), dove, in un paragone con le caratteristiche dell’arte oratoria, così l’autore recita: “…ut in pictura lumen non alia res magis quam umbra commendat, ita …” (come in pittura nulla giova più alla luce quanto l’ombra, così...). È dal contrasto che nasce l’apparenza delle cose e si evidenzia la diversità; senza l’ombra la luce non esisterebbe e dunque nell’essere complementari risiede la forza di entrambe, perché né l’una né l’altra avrebbero vita senza il loro opposto. L’elegante e lirica astrazione formale, propria del suo stilema, non impedisce a Salvatore Giunta di inoltrarsi agevolmente nel magico mondo delle ombre che l’Artista sa esplorare avvalendosi di soffici dosaggi cromatici e di tonalità sommesse, capaci di rendere sempre nuova e accattivante la dialettica della visione.
Francesco Muzzioli
Apro con piacere la discussione sulla mostra Dialettica delle ombre e sul video di Salvatore Giunta, un artista con cui ho già collaborato in una iniziativa che aveva per tema le nuvole. Le nuvole, le ombre, qui abbiamo già alcuni elementi che indicano, diciamo così, una predilezione. In entrambi i casi è questione di “impalpabilità”.
Ora, a partire da quello che abbiamo visto nel video e da quello che vediamo nella mostra, mi sembra che possiamo ragionare su due livelli che poi naturalmente potremo cercare di unificare: un livello estetico e un livello allegorico. Sul livello estetico mi sono andato convincendo, anche proprio considerando i materiali del video, che questo tema dell’ombra nasce dalla attività di scultore di Giunta, e che alla base ci sia un’idea di allargamento di quella che nella sua estetica Galvano della Volpe chiamava “la contestualità organica”. Della Volpe insiste sulla “aseità semantica” dell’opera d’arte come base di qualsiasi valutazione e interpretazione da parte della critica: vale a dire prima di tutto definire i contorni, i confini dell’opera. Io posso stampare un romanzo su qualsiasi carta, con qualsiasi copertina, ma il romanzo è sempre lo stesso; quando valuto un quadro devo prescindere dalla parete che lo ospita, perché potrebbe essere spostato benissimo da un’altra parte, e il quadro sarebbe sempre lo stesso; ugualmente per una qualsiasi scultura, una statua o altro. Ciò che è fuori dal confine (fuori dalla “cornice”, per esempio) può essere messo tra parentesi, altrimenti il critico non saprebbe dove fermarsi, si troverebbe – secondo i termini dellavolpiani – nella “onnitestualità”. Ora, naturalmente, una scultura fa ombra: nel momento in cui la illuminiamo, che sia in un ambiente esterno o in un ambiente interno, la scultura ha sempre un’ombra. Secondo la contestualità organica normale, l’ombra non fa parte della scultura e se io valuto esteticamente l’opera devo valutare la statua, non la sua ombra. L’idea di Salvatore Giunta, secondo me, nasce da un geniale gesto di allargamento della contestualità: anche l’ombra viene chiamata a far parte dell’opera.
Che succede se l’ombra entra a far parte dell’opera? Cosa succede quando utilizziamo l’ombra come una sorta di proiezione dell’opera, che però rientra appunto nell’opera creando delle nuove forme, dei nuovi colori, aggiungendo qualcosa che altrimenti l’opera non avrebbe? Si aggiunge, secondo me, anche una potenzialità di variazione (cambiamo la luce e l’ombra cambia) e quindi si inizia a ragionare di pluralità dell’opera e conseguentemente di un aspetto che possiamo chiamare dinamico – perché appunto abbiamo visto tutte le variazioni che poi l’immagine prendeva. C’è un apporto anche nelle tonalità e vediamo che l’idea dell’ombra crea questi giochi tra lo scuro il più chiaro, il più nero, il grigio. Soprattutto nel video abbiamo visto giochi di forma, con questa preferenza per il triangolo, che potrebbe farci riflettere: c’era una certa angolosità in quelle immagini, la ricerca di quegli angoli spesso acuti. E poi l’aggiunta dei tagli – appunto il video si intitola “i tagli dell’ombra”: quest’idea che l’immagine artistica va attraversata in un certo senso, come attraverso dei tagli che diventano segni. Certo, questo, a livello estetico, aumenta anche la nostra sensibilità, la nostra percezione, e sono molto suggestive le immagini che vengono ricavate in questo modo.
Ma dall’altra parte vorrei provare ad allargare la riflessione sull’allegorico: cosa significa questo lavoro sull’ombra? Oggi c’è da più parti interesse per il tema dell’“ombra” e l’ombra ha un’ascendenza culturale naturalmente molto varia: da Platone, con le ombre della caverna, poi, sempre in filosofia, penso a Giordano Bruno De umbris idearum, e poi sicuramente Jung e tutta la psicoanalisi, per cui l’ombra è l’inconscio, o ancora “la linea d’ombra” di Conrad. C’è pure l’idea del doppio, nel fantastico: perdere la propria ombra significa appunto perdere l’identità e l’ombra che si rende autonoma è, nel tema del doppio, qualcosa di inquietante – ed in fondo queste ombre di Salvatore Giunta sono spesso ombre molto scure. Qui oltre all’idea della forma, c’è anche una presenza che si aggiunge per così dire “fantasmatica”, la presenza dell’ombra. L’insistenza su questo aspetto, che è poi l’immateriale, indubbiamente è qualcosa che ha a che vedere con l’inconscio e quindi l’inglobamento dell’ombra nell’opera non è soltanto un fatto estetico, ma è appunto un “voler rendere produttivo”, un voler inserire nella forma anche quello che di solito ci sfugge e che normalmente è considerato qualcosa di collaterale, di insignificante, di amorfo. Poi certamente c’è un’estensione del concetto: siamo tutti un po’ ombre, siamo, per dire, avvolti nella realtà virtuale: la finanziarizzazione del capitale, si è parlato anche di “società liquida”; l’economia che è diventata impalpabile e, appunto, “tutto si dissolve nell’aria” – come dicevano già Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista – e certamente il capitalismo di oggi è andato avanti su quella strada a passi da gigante.
Ci sono diverse disposizioni, abbiamo detto, e su questo vorrei concludere. C’è il taglio. Il taglio mi interessa molto perché facendo soprattutto attività di critico – non proprio critico d’arte, in questa sede sono per così dire extra moenia – ma critico soprattutto della letteratura, ecco la critica effettua un taglio, ritaglia il testo in segmenti, l’attraversa in qualche modo trasversalmente. Non a caso si parla di un “taglio critico”; il taglio critico rappresenta la decostruzione dell’ovvio e appunto anche nel nostro caso abbiamo un’operazione che va verso la messa in discussione dell’ovvio. Nelle opere figurative che vediamo nella mostra di Salvatore Giunta, come traspare dai titoli, vi è anche un’idea della fuga e bisogna capire se si tratta in effetti di una fuga dalle ombre o di una fuga delle ombre da qualche altra cosa… Le ombre si allontanano dalla parte scura per andare verso la parte più chiara e così funzionano il nero e il grigio. Però sicuramente vi è l’idea, la proiezione, di un qualcosa che appunto ci inquieta, ci preoccupa, e può essere individuato dal colore nero, io credo, usato all’interno di una figurazione in un certo senso simbolica. Ci vedo l’idea di lavorare sui nostri fantasmi, trasportati all’interno di un linguaggio che appunto è quello dell’arte, della pittura. E infine, dato che anche nel video abbiamo visto esattamente delle doppie proiezioni – le ombre fatte attraverso la proiezione dell’opera, è la prima proiezione; quella propria del filmato è la seconda proiezione –, questa possibilità che si possa proiettare il nostro fantasma dentro la forma, ma proiettandosi in fondo anche verso l’ignoto, verso la ricerca di un’arte che non deve essere pre-giudicata, che non deve essere chiusa dentro i propri steccati; quella “solita” aseità semantica si può aprire, si può allargare e procedere, in una proiezione intesa come movimento, sempre in avanti.
Anna Cochetti
Non è facile aggiungere qualcosa, all’introduzione così precisa e puntuale del prof. Muzzioli, ma sarò anch’io molto sintetica ed andrò piuttosto per divagazioni sul tema, partendo, cosa che non si dovrebbe fare, da un’autocitazione che però spiega perché sono qui a parlare delle ombre di Salvatore Giunta.
Ci capitò di trovarci insieme in una mostra di libri d’artista - e qui di nuovo ci troviamo a citare Silvana Leonardi; in quell’occasione mi capitò di presentare un mio libro d’artista che si apriva con “Moi, je suis mon ombre”, con una citazione peraltro da Montale “Ah l’uomo che se ne va sicuro/ agli altri ed a se stesso amico/ e l’ombra sua non cura/ che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!” Quindi mi era capitato per diverso tempo di lavorare per delle mie ragioni, che adesso è inutile stare ad illustrare, sul tema dell’ombra e parlandone con Salvatore, durante la mostra, mi disse: “ Ma sai che sono anni che sto lavorando anch’io sul tema dell’ombra, perché non ne parliamo?” E siamo qui a parlarne.
Parlarne partendo per gioco; è stato citato Jung che citerò anch’io, ma prima di Jung una parentesi all’astrologia di cui anche Jung era un cultore. Perché per parlare dell’ombra potremmo parlare del segno-ombra, del nostro opposto sulla ruota zodiacale, per cui ognuno di noi ha un’altra personalità nascosta che viene celata nel segno-ombra. L’opposto zodiacale con cui bisogna mettersi in relazione perché contiene ciò che a noi non è evidente, quello che non vogliamo vedere ma che sarebbe bene vedessimo, per completarci. E Jung che di astrologia era un cultore – alchimia e astrologia in verità anche – parla di ombra come di tutto ciò che noi vogliamo nascondere, rifiutare, che non vogliamo conoscere di noi stessi, perché la nostra parte in ombra, è quella della quale in qualche modo abbiamo paura; ma bisogna pur arrivare a riconoscerla, per poter ricostituire quella unità primigenia archetipica, di cui Jung parla ne “Il principio del maschile e del femminile”.
E dopo Jung, Hillman, che riprende Jung, per cui l’ombra diviene anche il “dáimōn”, la nostra vocazione esistenziale, chi siamo, chi dobbiamo voler essere secondo il nostro progetto di vita che ci viene impresso all’atto della nascita; ed anche per questo motivo seguendo Hillman con l’ombra bisogna confrontarsi.
Mi è capitato una ventina di anni fa – spulciando non ricordo se per librerie o mercatini – di trovare questo testo di Roberto Casati “La scoperta dell’ombra” . Si tratta di uno scienziato che si misura, dice per la prima volta, col tema dell’ombra, a partire da una notte di eclissi di luna a Parigi in cui gli capita di scoprire l’ombra, muovendo da Platone fino ad arrivare ai giorni nostri. Cito soltanto una frase che mi ha colpito sul finale dove Platone dialoga con la sua ombra, Skia.
“Skia dice: “Tiriamo le fila prima che cali la notte”
Platone : “Che ne sarà di te?”
Skia: “Finalmente potrai liberarti di me, tra poco scomparirò nell’ombra della terra” “
E più avanti…
“Osserva, a ogni momento sono diversa, ma in quel momento sono costretta ad essere un’immagine fedele di ciò di cui sono l’ombra. Non possiamo disfare le cose che abbiamo fatto, ma godiamoci questo bel tramonto prima che io mi
ricongiunga alla grande ombra della notte” (che evidentemente è per l’autore anche il tema del rapporto giorno/notte, vita/morte).
E veniamo a Salvatore. Mi era capitato di aver presentato alcuni suoi lavori e ho ritrovato questo vecchio articolo che mi permette di creare anche oggi un collegamento tra quelli che ritengo siano i due aspetti del lavoro di Salvatore: un aspetto dichiaratamente razionale e improntato al logos, alla geometria, al triangolo – perfetto in tutte le sue forme, anche scaleno, comunque è un triangolo – che rappresenta la divinità, rappresenta la perfezione o la tendenza ad essa. Questa fortissima impronta razionale è molto presente nella pittura e nella scultura di Salvatore, già in qualche fuga laterale di alcune sculture come ad esempio le tangenti, che introducevano un’idea di curva di instabilità, un’idea di movimento.
Ma fondamentalmente se qualcuno mi dicesse “Chi è Salvatore Giunta?” risponderei che è un artista che lavora sulle geometrie razionali, lavora sul triangolo, su tutte le possibili variazioni, combinazioni a partire da questa figura fondamentalmente piana. Quindi direi, un artista la cui poetica è fondamentalmente improntata al logos, alla razionalità; ma nella mostra di Parigi del 2007 – ci sembrava di aver fatto ieri la mostra e di aver scritto ieri l’articolo – scrivevo che “Partendo da questo presupposto, il vigoroso sperimentalismo, progettuale, multidisciplinare” si andava già a costituire un punto di tenuta di equilibri instabili, di alcuni elementi minimali che erano presenti poi nella scultura. La mostra personale si concludeva con un video, “Collisioni”. Già allora “Collisioni” introduceva un altro elemento, “un’ipotesi di movimento nello spazio, trasferendo da ultimo l’opera in una sorta di metafisica condizione di dematerializzazione che sembra cogliere il punto di tangenza tra infinito e il finito”.
E che cosa può essere un’ombra se non il punto di tangenza tra ciò che è finito, delimitato, cioè il triangolo, cioè la figura piana, e l’ombra, per sua natura illimitata, anche se apparentemente limitata, così soggetta com’è al movimento della luce, delle persone, dell’acqua, dell’aria, inconsistente tanto da tendere all’infinito?
E a questo punto arriviamo a quest’ultimo, bellissimo video. Complimenti a chi l’ha realizzato, ma sicuramente dietro c’è un pensiero che prova ad uscire dalla gabbia della bidimensionalità, della figura geometrica, del pensiero geometrico, del pensiero razionale e vi è un istinto che vuole attingere invece, attraverso un linguaggio altro - che è fondamentalmente quello del cinema - al pathos dell’ambiguità. Questo video mi ha fatto pensare ai film in bianco e nero della grande stagione americana ma soprattutto francese, mi è parso un contesto ideale, mi stavano venendo in mente personaggi, storie… che tra quegli angoli, quelle finestre quelle aperture, quei movimenti, potessero vivere. Perché soprattutto queste immagini sono accompagnate da una musica, la musica del mare. Si possono far durare le ombre, sul movimento del mare, sulle onde? C’è un’ombra nel suono? Sicuramente. Che ombra è quella del suono del mare e come lavora con quelle immagini, l’ombra del suono del mare?
E poi le voci dei bambini, che sono le voci dell’infanzia. E allora se torniamo all’inizio del nostro discorso, sulla nostra parte in ombra, sicuramente dentro c’è anche questo. Le voci dei bambini…
Mi chiedo, Salvatore, perché tu abbia scelto proprio le voci dei bambini rispetto a quelle figure così fondamentalmente razionali, pulite, logiche e quant’altro? Quanto pathos c’è nelle voci dei bambini? Quanto pathos c’è nel suono del mare?
Per questo “la dialettica delle ombre”: perché fondamentalmente la dialettica delle ombre è la dialettica della nostra ragione sempre periclitante che scivola verso l’ombra, ma finché non la conquista non riesce nemmeno a riconoscersi.
Mi sembra che a questo punto il lavoro di Salvatore abbia trovato una misura ulteriore, e questa fuga di cui si parlava, fuga dalla ragione, fuga delle ombre, fuga dalla propria ombra, io la interpreto come fuga dalla ragione costringente verso una dimensione dell’ambiguità che invece ci consente di scoprire molto di più.
Francesca Tuscano
In questa discussione sul lavoro di Salvatore Giunta, vorrei partire da due spunti che sono stati offerti in merito alla lettura delle ombre. In passato ho avuto modo di ripercorrere il lavoro di Salvatore sulle ombre in occasione di una piccola mostra curata lo scorso anno - che riguardava in realtà la sua opera grafica - ed entrando in contatto con la sua precedente produzione, ho tentato di comprendere quale fosse il percorso o il modo in cui il tema dell’ombra veniva sviluppato anche da un punto di vista formale e dei contenuti correlati.
Come già spiegava il prof. Muzzioli, quello delle ombre è per Salvatore un discorso che nasce sicuramente dalla scultura. La prima mostra del 2010, dal titolo “Sculture d’ombra” curata da Loredana Rea parte proprio dalla possibilità di rintracciare una dialettica, riscontrata in quel caso dalla Rea tra l’apparenza e la realtà che poteva rimandare al mito della caverna di Platone. La mostra proponeva un’installazione all’interno di uno spazio che effettivamente poteva ricordare il mito platonico e in quell’occasione l’ombra era protagonista: la scultura, la struttura che Salvatore presentava diventava secondaria rispetto alla sua ombra, che andava a proiettarsi sulla parete; e in quest’opera si manteneva appunto una relazione con la realtà, un dialogo con la realtà fisica: l’ombra era ancora la proiezione di un oggetto che aveva una consistenza materiale.
Uno degli elementi molto interessanti di queste ultime opere è a mio parere il modo in cui Salvatore risolve il tema dell’ombra trasferendolo entro un discorso che dalla tridimensionalità passa alla bidimensione; in questo passaggio l’ombra acquista una valenza a sé, che va quasi oltre la dialettica: da proiezione l’ombra si fa piano, un piano che continua il suo colloquio con lo spazio, divenendo la manifestazione di un percorso dinamico della forma che si palesa all’interno di un discorso condotto nell’ambito della bidimensionalità, della grafica, e restituito anche partendo dallo spunto della poesia con cui molto spesso Salvatore si incontra.
Un rapporto questo, tra il segno e lo spazio, che pone la luce e l’ombra su uno stesso livello dando ad entrambe la stessa forza. A tal proposito scriveva Mario Lunetta, per una mostra sempre del 2010, “Tagli di luce e nuovo spazi” definendo la luce nell’opera di Salvatore Giunta come una “presenza spaziale dura e netta”, una presenza che non è semplice effetto, ma che possiede una sua solidità; e in questa realtà luminosa l’ombra ritrova una sua dimensione propria, autonoma rispetto al suo essere “proiezione” di qualcosa.
In queste opere esposte -che sono una porzione di una mostra più grande dedicata a questi lavori inaugurata a Pisa lo scorso anno - Salvatore riprende un’altra sua ricerca che è stata importante soprattutto agli inizi della sua formazione, tra
la fine degli anni Sessanta e primi anni Settanta: il discorso sulla pittura. Salvatore ha infatti una formazione da pittore – e questo svela forse anche il suo modo di fare ricerca, di far convergere diversi interessi, riguardanti anche più generi, all’interno di un’unica sperimentazione, di un unico orizzonte estetico – e la pittura inizia ad avere una sua consistenza materica proprio intorno agli anni Settanta, lasciando poi il posto alla scultura; scultura, che in una prima fase, interessa Salvatore per la sua valenza plastica, quindi per la valenza legata al volume. Durante i diversi momenti del suo lavoro poi, piano piano il volume andrà ad asciugarsi per far emergere l’idea di struttura.
E qui, in questa esposizione, possiamo notare credo anche un altro elemento legato all’ombra: l’architettura della forma. Il guardare all’architettura nell’opera di Salvatore è infatti un aspetto che lega un po’ tutto il suo percorso – penso ad esempio a Le Courbusier, al riferimento all’uomo, all’umano come “misura” dell’arte – sino a giungere anche alle sue primissime indagini sull’ombra. L’installazione del 2010 cui accennavo all’inizio di questo intervento, è un’installazione pensata per la relazione con l’uomo, anche per le sue proporzioni; e dunque emerge il discorso, proposto dalla critica Anna Cochetti, della geometria, di una geometria “razionale” ma contemporaneamente di una geometria pensata a partire da una realtà “altra”, quell’ “altra realtà” di cui parla Malevi.
In definitiva la trasposizione dell’ombra in una dimensione bidimensionale si richiama anche a questi importanti riferimenti dell’arte.
Un’ultima riflessione riguarda il tempo, possiamo dire “ritmico”, musicale. La musica, il ritmo sono elementi che costantemente rientrano nell’opera di Salvatore Giunta - e qui ne abbiamo un esempio nella reiterazione del segno, nell’inserimento, che ritorna spesso, di segni, frammenti di linee che possiedono una valenza fortemente individuale, costituiscono quasi, messi in successione, un racconto, che rivela una forte tendenza narrativa. Questo elemento del tempo, della musica, del ritmo contraddistingue appunto parte della sua opera, come anche l’idea del taglio; e penso anche a Fontana che con il suo taglio - ovviamente con connotazioni completamente diverse – apriva all’arte visiva una dimensione anche temporale, quella dell’attesa, del tempo sospeso, porgendo quasi un invito ad entrare in certe dimensioni; e il dinamismo, che Salvatore restituisce in una chiave formale completamente diversa, questo mutare della forma, cha abbiamo visto anche nel video, è in fondo un attraversamento continuo di una dimensione, un approfondimento costante e un’apertura anche ad una possibilità quasi infinita della ricerca artistica.
Volevo chiudere con un ultimo riferimento, ad un Haiku di Francesco Tarquini che vorrei citare perché fa parte di un libro d’artista realizzato da Salvatore, intitolato appunto “Sulla soglia dell’ombra”: “Cono di luce/ sulla soglia dell’ombra/ pagina bianca”. Ed è interessante come questo haiku rappresenti con le parole quello che è in fondo la ricerca di Salvatore, rendendo sia l’aspetto della forma - il cono di luce - sia la pagina bianca, come se si trattasse di due origini: l’origine della forma e l’origine dello spazio che è ciò in cui la forma si muove, la pagina bianca appunto, ciò che deve essere attraversato. In mezzo l’ombra “sulla soglia” che collega queste due dimensioni.