Mario Lunetta
Salvatore Giunta: la fermezza del polso.
2010
Un carattere intrinseco (e dominante) del fare plastico e grafico di Salvatore Giunta è il confronto con la luce, che l’artista non assume mai come densità pulviscolare, velatura atmosferica, amniosi patetico-mistica, ma come presenza spaziale dura e netta. La luce di Giunta è solida, e fronteggia impassibilmente l’invasione dei grigi e dei neri impegnati a sottrarle terreno. Si potrebbe parlare di una luce difensiva che, se nelle sculture (ferro, legno, alluminio variamente trattati) si avvale dello slancio del proprio sorprendente avventurarsi tridimensionale nello spazio come per disegnarne un’altra dimensione più fortuita e tuttavia impeccabile, in queste incisioni su carta sfrutta mirabilmente il bianco del foglio per affermare la propria intangibilità. E’ in effetti lo spettacolo di un conflitto carico di enigma quello che Giunta mette in scena con una precisione implacabile. L’esattezza e il rigore finiscono così per funzionare, in queste tavole, da confini invisibili di un ring di natura quasi matematica. I dinamismi dell’artista non possono allora che agire all’interno di un’astrazione geometrica che non prevede soluzioni curve o arcuate, eppure queste immagini taglienti che procedono per traiettorie sghembe di assoluto nitore alludono misteriosamente a una qualche calorosa accoglienza, come se al loro interno bruciasse un grumo di fervore che volesse nascondersi perfino a se stesso, fatto di gradazioni del bianco, del nero, del grigio che sono qualcosa di più di semplici nuances. Io sarei portato a parlare di stati mentali che si risolvono sul foglio in una varietà di stati percettivi regolati con una sobrietà e un’essenzialità di rara intelligenza. Ed è in grazia di quest’intelligenza amorosa nei confronti del proprio mestiere che in queste forme in apparenza così raggelate entra il mondo, entra il confuso movimento del mondo, entrano la sua stoltezza e la sua immensa bellezza. Giunta, che lavora da sempre sul filo di una severità consapevole, declina oggi con assoluta autonomia la grande lezione di uomini il cui nome non tramonta: El Lissitskij, Malevic, Tatlin. E la declina non come omaggio, ma come ripresa di discorso in termini lucidamente contemporanei.
in Tagli di luce e nuovi spazi, Presentazione, Stamperia del Tevere, Roma, 2010, a cura di I. D’Agostino e M. Lunetta