SALVATORE GIUNTA ARTE

Ivana D'Agostino

 

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Salvatore Giunta e Teresa Pollidori. Corrispondenze_2010

 

L’amicizia, la stima e  i valori condivisi, si sa, creano le basi imprescindibili per  stabilire un comune sentire, nel nostro caso artistico, che è stato indispensabile a Salvatore Giunta e Teresa Pollidori per cimentarsi nella realizzazione di opere d’arte  a quattro mani, appositamente pensate per questa mostra presso lo Studio Calcagno di Venezia.

Una specie, il loro, di canto e controcanto tra fotografia ed incisione: un duetto con immagini a confronto dove le linee, le emozioni, i contrasti cromatici del lavoro dell’uno trovano adeguata corrispondenza, e continuità, nell’operato dell’altra.

Un risultato raffinato e cerebrale costituito di sinfonie di grigi, di stacchi netti tra chiari e scuri, di equilibri lineari all’improvviso dissonanti che rendono quasi impercettibile la soglia di passaggio tra le foto della Pollidori e le incisioni di Giunta.

Le geometrie di interni e dei casamenti popolari di Corviale, quest’ultime scorciate e scandite dai ritmi verticali delle finestre sbarrate, fotografate dai sapienti bianco e nero della Pollidori – bellissimi anche i suoi precedenti reportages su questo quartiere-dormitorio romano –, stabiliscono con le incisioni di Salvatore Giunta, da sempre concepite analogamente nel restituire campi visivi misurati da equilibri eccentrici, un’efficacia visiva e concettuale di ponderata consapevolezza, costituita di ritmi e pause senza fratture nelle corrispondenze tra le incisioni, rigorosamente bianconere di calcolata  astrazione di Salvatore Giunta, e le metafisiche architetture di Corviale di Teresa Pollidori.

Belli sono questi dittici – ognuno degli artisti ha creato sei opere di formato quadrato che dialogano accostate a quelle dell’altro – concepiti con un rigore progettuale  evidentemente meditato a lungo.

D’altronde gli artisti in questione non sono nuovi alle operazioni di questo tipo affrontate  dallo Studio Arte Fuori Centro di Roma che è  aduso a questo genere di sfide. Lo spazio espositivo romano infatti, del quale non casualmente fanno parte sia Giunta che la Pollidori,  con importanti eventi come In Tandem o la più recente mostra Segni di confine, ha realizzato in tal senso progetti di particolare efficacia, che proprio per tale caratteristica sono stati itineranti per l’Italia

La difficoltà di realizzare mostre analoghe, basate sul confronto diretto e contiguo tra le opere di due artisti non è affatto di facile soluzione, dovendo loro impegnarsi nel realizzare un’opera che sia  unica   e al contempo coerente alla loro individuale ricerca concettuale ed espressiva. 

Ma la sfida consiste proprio in questo. E Teresa Pollidori e Salvatore Giunta l’hanno accettata e risolta benissimo.

 

in Corrispondenze, Prentazione della mostra, Art Studio, Venezia, a cura di I. D’Agostino

Tagli di luce e nuovi spazi_2010

 

Dopo la mostra del 2007 Al limite dell’azzardo, anch’essa da me presentata, per la quale Salvatore Giunta costruiva  uno spazio plastico rigorosamente minimalista, memore di certe sue riflessioni  su Malevič e El Lissitsky, seppure non  risultassero esclusi ricordi della progettualità neoplastica e dell’Astrattismo storico in genere, anche per questo evento espositivo, l’artista, riprende quella stessa matrice operativa, esprimendola analogamente nei modi di una operatività e narrazione  concettualmente raffinatissimi, oggi come allora, giocati, vuoi nella dimensione plastico-spaziale che sulla superficie, sulla instabilità delle  corrispondenze , sui decentramenti, sugli equilibri precari, sui tracciati minimali dei segni che definiscono tagli di luce solitamente obliqui, e ombre altrettanto suggestive.

Presenta in questo caso tre serie d’incisioni e una quarta serie di grafiche tecniche miste, cronologicamente comprese tra il 2008 e il 2009.

La prima serie Tagli di luce, una cartella di tre acquetinte, riprende la caratteristica astrazione geometrica dell’artista, risolta  in una gamma di delicatissimi grigi, tra i quali, la sfumatura in nero di alcuni segni obliqui è indicativa di una potenziale dinamizzazione del campo visivo, allusiva, inoltre, al rapporto pariteticamente scambievole  tra luce ed ombra.

Il fatto poi che Giunta lavori costantemente sulla serie, avvalendosi di una caratteristica operativa tipica della  riproduzione calcografica a tiratura limitatissima, ci riporta nell’ambito della riproduzione seriale di pregio, ulteriormente avvalorata in tal senso dagli interventi aggiuntivi che lui fa su ogni singola  incisione, trasformandola così  in un unicum.

Gli interventi manuali che lui appone, l’uso  del collage che fa, circoscritto  ad una quarta serie di “compressioni a secco” del 2009, o la pratica  della battuta a secco, che  rende scabro il foglio in certe parti,o, ancora, la consuetudine  dell’incisione e dell’acquatinta con cui ottenere effetti diversi, caratterizzano il filo conduttore della ricerca di Salvatore Giunta, venendo ad avvalorare tecnicamente il contenuto proprio della sua sperimentazione,  basata sul rapporto tra equilibri eccentrici e declinazioni musicali dello spazio con l’aggiunta adesso, più di recente, di una liricità del colore sconosciuta in opere precedenti.

 La terza serie di incisioni Tagli di luce-Prove di colore fa riferimento a queste nuove acquisizioni della sua ricerca, essendo costituita di quattro fogli dove  lo sfumato in azzurro e verde dell’acquatinta dato con diverso orientamento – dal basso verso l’alto, e viceversa all’interno di uno stesso spazio, oppure sfumando dal verde all’azzurro – dinamizza attraverso il colore l’opera – un modo  in nuce già sperimentato attraverso la gamma dei soli grigi della citata  serie dei Tagli di Luce – seguendo un procedimento nuovo, in precedenza risolto con lo slittamento della sfera sul piano inclinato; una soluzione, questa, usata sia nelle installazioni che nella produzione incisoria.

Le sfere, infatti, presenti nell’installazione Equilibri eccentrici di cui si è detto, per  suggerire la precarietà consapevole di equilibri delicatissimi sempre sul punto di infrangersi e, altrettanto rapidamente ricomporsi in un gioco infinito di armonie e dissonanze, è quello stesso che compare nella seconda serie di acqueforti presentata dall’artista, e nelle tecniche miste. La creazione del campo visivo, orientata dalla contrapposizione netta di bianchi e neri, si risolve in una concezione spaziale, che ebbi già modo di definire, assolutamente mentale. Salvatore Giunta declina lo spazio secondo categorie concettuali più che non attraverso coordinate spaziali. I rapporti luce/ombra, le diagonali e le sfere  impresse a secco non definiscono confini certi o spazi misurabili. Ciò che emerge, piuttosto, è un bisogno di armonia, a cui allude peraltro l’uso costante di lastre incisorie quadrate, tuttavia da infrangere costantemente. Uno spazio, dunque, ricco di sottili tensioni, indefinito negli equilibri e nelle fughe: uno spazio astratto di raffinata  resa concettuale sul quale regna, da sempre,  un tempo sospeso.

 

in Tagli di luce e nuovi spazi, Prentazione della mostra, Stamperia del Tevere, Roma, a cura di I. D’Agostino e M. Lunetta​

   

Al limite dell’azzardo. Elementi plastici di Salvatore Giunta_2013

 

L’esposizione di Salvatore Giunta presso lo Studio Arte Fuori Centro convoglia e racchiude in  un auratico e coerente equilibrio tutta l’articolata serie di esperienze da lui maturate in precedenza nel corso di una più che trentennale sperimentazione: l’interesse per il teatro e il relativo rapporto con lo spazio; l’interazione con la musica, da cui deriva nelle sue opere l’uso di intervalli, contrappunti e sospensioni; la naturale propensione all’astrazione che lo

dispone a pensare elementi plastici di assoluto minimalismo disposti nello spazio in equilibri sempre al limite dell’azzardo.

La progettualità di Giunta si è vista, dunque, – e si vede – espressa in una territorialità di ricerca ampia, che coniugando insieme musica, spazio, luce ed elementi plastici ridotti al minimo della loro essenzialità, dichiara la sua consapevole filiazione dall’astrattismo storico. Non mancano nel suo modo di procedere riflessioni su Malevicˇ e El Lissitsky, rimembranze neoplastiche e sull’astrattismo milanese degli anni ‘30 del secolo scorso, le cui innovazioni sperimentali di ascendenza dall’area tedesca, non sono indifferenti neppure

allo stesso Giunta, anch’egli evidentemente propenso a considerare la grande lezione del Bauhaus in merito al rapporto scambievole tra le arti.

Raffinatissima e concettuale, l’installazione da lui appositamente realizzata per questo evento espositivo si gioca tutta su equilibri instabili sempre sul punto di infrangersi, su curve e controcurve, sulla stasi e sul movimento cinetico.

Alla propensione centrifuga delle pedane ellittiche sovrapposte – i piani d’appoggio dell’installazione – corrisponde il bilanciamento, all’apparenza provvisorio di un’asta, che sostenuta da una sfera, si proietta verso il muro sorreggendo a sua volta, in modo altrettanto illusorio e precario, un segno scultoreo ovale, che essendo spezzato, non definendo quindi chiudendola, l’ellissi, contribuisce anch’egli a fare perdere la percezione intelligibile dello spazio. La stessa sensazione di instablità la conferisce anche l’altra

sfera messa dall’artista in posizione talmente debordate il limite del piano d’appoggio degli elementi plastci da farne temere la caduta imminente. Equilibri precari, questi, evidentemente istituiti al limite dell’azzardo: eppure capaci, malgrado le loro note dissonanti, di ricomporre l’unità armonica. Ad essa allude anche la delicata gradazione di grigi perfettamente intonati, equilibrati tra loro nel risolvere le diverse tonalità di superficie di piani, asta, sfere ed ellissi.

L’intera installazione si caratterizza nella dichiarata sottrazione di volumi: gli elementi plastici, quasi passibili d’estinzione per la loro incorporeità, si dispongono nello spazio come segni sottili, citazioni scultoree più che non sculture, realizzando atmosfere rarefatte e sospese contigue a quelle che il pensiero zen – non casualmente rivisitato dallo stesso Giunta – creava nei giardini giapponesi.

Lo spazio così risolto dall’artista avvalendosi di questi segni plastici di grande purezza formale ed essenzialità spiazza tuttavia, destabilizzandolo, lo spettatore non aduso alla percezione del vuoto: lo spazio di Giunta infatti non è propriamente ascrivibile ad uno spazio realistico fisicamente plastico, corrispondendo piuttosto alla progettazione mentale di esso. Le coordinate dell’organigramma spaziale pensate dall’artista diventano così segni plastici al limite dell’incorporeità, che disegnano, definendone i rapporti, lo spazio espositivo attraverso tracciati minimali, mentre l’insieme di luci e di ombre proiettate sui muri, sulla copertura e sui piani lo costruiscono contribuendo ad espanderne tridimensionalmente il volume.

Si realizza in questo modo un gioco delicato e tutto cerebrale di interscambio mimetico continuo tra vero e falso, tra reale e virtuale, tra luci e riflessi, tra i segni e le loro ombre che descrivono tracciati continuamente confusi e intrecciati con quelli plastici di cui sono conseguenza.

La percezione dello spazio che ne deriva si costituisce per questo attraverso spezzature, intervalli, tempi sospesi, equilibri e fughe: uno spazio astratto dotato dunque di potenzialità dinamiche, percorso da un sotterraneo sottile andamento musicale interno, caratteristico – cosa evidentemente nota, come si è detto allo stesso Giunta che su quelle ha ampiamente riflettuto – delle esperienze astratte distintive dell’area europea, e non solo, degli inizi del secolo scorso, intrecciate spesso agli esiti più innovativi della musica moderna.

Da qui, la visione cinetica delle dinamiche potenzialmente interne alle sfere e all’asta dell’installazione di Giunta, è realizzata col video, anch’esso in mostra, prodotto dall’artista secondo modalità di stretta ascendenza da Luigi Veronesi, e dall’astrattismo milanese degli anni ’30 del secolo scorso.

Il movimento della sfera che crea bilanciamenti colti nella loro precarietà sempre al limite, scivolando per poi cadere dall’asta di equilibrio, coordina installazione e video in un unicum narrativo, dove l’una si completa e giustifica nell’altro. Unitarietà ed integrazione caratterizzano anche la gamma di grigi che costituiscono la sequenza dinamica del video, del tutto omologhi a quelli scelti da Giunta per realizzare le superfici opache dei supporti e dei suoi elementi plastici. Ma anche l’apporto cinetico, implicito negli elementi installativi, e dichiarato nella sequenza video delle cadute della sfera, periclitante da aste e scivoli pluridirezionati, ricompare nei suoni di Exotic Song1 che fanno da sottofondo al video.

In Exotic Song, l’attenzione conferita dalla direzione di Nicola Cisternino a trasformare, con un certo uso ritmico della tastiera, il suono della marimba in un movimento capace di tramare, scandendola, l’intera tessitura di questa pagina musicale, ben si accorda, per gli effetti sonori prodotti, a visualizzare nel video di Salvatore Giunta gli equilibri instabili sempre al limite dell’azzardo, e le cadute della sfera da scivoli ed aste d’equilibrio.

 

1 Exotic Song è una composizione musicale del 1987 per grande marimba di Nicola Cisternino. Dello stesso compositore è la tetralogia dedicata ai quattro elementi: Terra, Acqua, Aria e Fuoco di Apokalipsys, una lettura attraverso la trasmutazione della materia sonora dell’Apocalisse di San Giovanni. Di essa fa parte la II pagina dedicata all’elemento Acqua che costituisce il sottofondo sonoro al video di Giunta.

Nicola Cisternino (direzione e regia del suono)

Annunziata Kiki Dellisanti (marimba)

 

in Al limite dell’azzardo, Studio Arte Fuori Centro, Roma, a cura di I. D’Agostino

   

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